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Bene Comune, dopo la teoria ora è tempo della pratica

Ho più volte denunciato che il rapporto tra monte è piano non è tra pari, processo antico, ma che è sfacciatamente evidente dall’inizio della crisi e ora una pianura egemone ha definitivamente organizzato il suo rapporto col monte, sia come regole che come prassi, su un modello che non posso che definire di tipo coloniale.   Sì, “coloniale”!     
E non uso questo termine a caso perchè nei confronti delle Alpi italiane è in atto un processo di colonizzazione interna che segue canoni collaudati dalla modernità occidentale.
Regime di legalità, impianto istituzionale, distribuzione del potere sono ora funzionali alla gestione del consenso per procedere alle ultime rapine.

E’ iniziato l’ultimo saccheggio alle risorse delle Alpi, si sta avvicinando la fine della storia. Unico problema, unico impaccio è la presenza residuale di montanari che si ostinano a rimanere quassù a dispetto dei santi e del resto del mondo, accidenti a loro!
Ben inteso, tutto avviene nel rispetto delle regole del mercato e in regime di assoluta legalità, la legalità del più forte e quassù tutto è stato organizzato per il saccheggio, è la politica del carciofo, foglia dopo foglia, pronta per esser scodellata sul tavolo della parte egemone.
Intendendo per “egemone” il “potere ottenuto tramite una combinazione di forza e consenso ”, che si preoccupa di modellare l’intero impianto istituzionale in modo funzionale a interessi esterni alle valli.
Egemonia ottenuta nel tempo con una serie di interventi che si collocano in una strategia chiara, quella del più forte che si afferma tramite regole che lui detta.
Per prima cosa è stato demolito l’approccio comunitario in base al quale si sono governate le valli in periodo storico, questo per evitare che la comunità potesse organizzarsi e reagire tramite le istituzioni locali che sono state depotenziate (Comuni e ex Comunità Montane).

Introdurre il sistema maggioritario prima nel piccolissimi comuni di montagna e poi nelle Agenzie di Sviluppo (le ex Comunità Montane) è stata una mossa azzeccata.
Queste ultime nulla hanno più di montano, mentre perimetrazioni di fantasia le hanno rese l’antitesi del concetto di comunità e spero che si proceda quanto prima a correggere questo pasticcio istituzionale.
La distribuzione del potere è ora funzionale alla costruzione di una egemonia esterna che deve essere condivisa solo più da una ristretta elite locale a cui destinare piccole e ininfluenti zone di potere.
Ora le decisioni possono essere prese in ambiti ristretti e senza più discuterne con i consigli comunali o di valle, tutto è pronto ormai per occuparsi dell’ultimo saccheggio delle ultime risorse che il territorio ancora può dare, si può grattare il fondo.
Ora è possibile un approccio liberal alla gestione delle risorse, non serve più concordare le strategie con la comunità locale, i cui interessi sono comunque rappresentati dalle Agenzie di Sviluppo e che perciò
non ha nulla di cui lamentarsi.

Non è necesario coinvolgere nelle scelte tutta la comunità locale, che viene considerata per lo più semplice, elementare, statica, carente e bisognosa di piccole cose ovvie e che va tenuta a debita distanza dal guidatore, che non va disturbato, mentre a debita distanza devono anche stare gli organi di stampa, che diventano molesti se cercano di capire.
Fatta questa introduzione, proviamo a calarci nella realtà locale della val Maira prendendo la Maira s.p.a come esempio, società mista a maggioranza pubblica e giustamente fino ad ora indicata come fiore all’occhiello e esempio virtuoso.
Proviano a dare una lettura alle ultime scelte fatte e rese note in termini di approccio liberal o comunitario, due percorsi molto diversi. Nel primo caso il c.d.a. si muove con l’obiettivo del massimo profitto senza discutere le scelte al di fuori di “stanze dei bottoni”, nel secondo ci si da un obiettivo strategico effettivamente condiviso dalla comunità locale.
Nel primo caso, che è la strada scelta attualmente dalla “Maira”, il piano industriale non si discute pubblicamente, sul territorio si calano le decisioni una volta prese dal consiglio di amministrazione senza portarle al dibattito consigliare nei comuni e nella Agenzia di Sviluppo, tanto meno le si discute con la popolazione, il benestare lo si chiede a una piccola elite collocata in pochi luoghi delegati a decidere.


Gli interventi però prevedono la valorizzazione di risorse naturali che sono considerate “bene comune”, argomento sensibile per i pochi rimasti.
Una s.p.a. privata ha sicuramente un piano industriale che è noto alla proprietà, una s.p.a. a maggioranza pubblica dovrebbe discuterlo nelle sedi istituzionali del socio publico.

Sicuramente formalmente questo avviene, ma l’impianto istituzionale oramai non essendo più di tipo comunitario, non prevede che tra esecutivi e consigli ci siano momenti di confronto, le decisioni sono prese al vertice e pochi, troppo pochi, decidono per tutti.
Percorso rischioso per la quota “pubblica” della proprietà, perché eventuali errori ricadrebbero comunque sul portafoglio della valle, rischio sicuramente noto ai pochi decisori.
Un approccio comunitario è invece quello di concordare con la comunità di valle l’obiettivo strategico.
Si potrebbe iniziare concordando un “patto di sindacato” con gli altri tasselli organizzativi di valle (Comuni Riuniti, Espaci Occitan, Centro Giolitti, Tecnogranda, associazioni di categoria, ecc) per puntare in modo sinergico, ad esempio, all’autosufficienza energetica senza vendere all’esterno l’energia prodotta (le ultime risorse comunitarie sarebbero disponibili entro l’autunno, ma andranno a progetti ambiziosi e innovativi).
Poi si dovrebbe discuterne nei consigli comunali e della Agenzia di Sviluppo.
Non è un percorso né lungo né complesso, basta volerlo fare e porterebbe a decisioni condivise e sicuramente più solide e meno rischiose.


Concordare in modo trasparente un obiettivo strategico renderebbe comprensibili e magari accettabili interventi che altrimenti possono essere visti come parte di una politica predatoria da contrastare.

Concordati e resi pubblici il piano strategico, il programma operativo e i piani finanziari, il cda opera poi con la tattiche più opportune, ai soci pubblici e privati l’onere di controllo sul raggiungimento degli obiettivi previsti.
Non è comunque pensabile che possano essere accettati passivamente interventi su quello che è considerato “bene comune” senza un approccio comunitario, non è pensabile aspettarsi che tutto proceda senza che qualcuno disturbi il guidatore ponendo domande e cercando di capire cosa succede.

La Maira s.p.a è un tassello importante per l’organizzazione di valle e, visto che agisce su risorse che sono considerate dagli ultimi e pochi abitanti dell’alta valle come “bene comune”, suggerisco sia alla proprietà pubblica che a quella privata (per quanto può valere la mia opinione) di considerare che esse non sono nella disponibilità esclusiva di un amministratore delegato e di pochi altri.


Mariano Allocco
Presidio alpino di Prazzo - Valle Maira




Agosto 2010

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