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Piemonte, dopo l'acqua ora tocca ai boschi?


Un comunicato del presidente dell'UNCEM e dell'IPLA(1), che dice: "… ci sono finalmente le condizioni per avviare un percorso virtuoso che potrebbe creare nelle nostre montagne un indotto economico stimato attorno ai 200 milioni di euro con una ricaduta occupazionale di 5-7 mila addetti, assicurando, nel contempo, un'energia da fonti rinnovabili e tutta di origine locale, una gestione forestale sostenibile, uno sviluppo economico e una qualità di vita a vantaggio della popolazione residente" fa riflettere perché nei boschi del Piemonte sta capitando qualcosa di cui quassù non se ne sa molto.




Ma procediamo con metodo. La politica montana regionale è caratterizzata da un approccio "risorsista", concetto ben spiegato dal prof. Luigi Zanzi(2): "L'ecologia "risorsista" ritiene di poter definire la "sostenibilità" dello sviluppo entro limiti di sfruttamento capaci di assicurare la riproduzione delle risorse a fini di consumo delle stesse da parte della città, ma non prevede quale sia la modalità di sopravvivenza delle popolazioni montane in tale ambiente"
Questa definizione mi è tornata in mente riflettendo su storiche "politiche rapinatorie" (parole forti, non mie, le uso perchè non è più tempo dell'ipocrisia) nei confronti della montagna europea, pensieri conseguenti alla nuova legge regionale per la "gestione e promozione economica delle foreste", la n° 4 del 2009: dopo l'acqua ora tocca ai boschi, il prelievo continua, stesso atteggiamento mentale.

La legge regionale n° 13 del '97 sul ciclo integrato dell'acqua
aveva come finalità "una politica di governo delle risorse idriche mirata alla loro tutela, riqualificazione e corretta utilizzazione, secondo principi di solidarietà, di salvaguardia delle aspettative e dei diritti delle generazioni future", belle parole, poi il mercato è entrato nella gestione dell'acqua potabile.
Con la nuova legge forestale ci risiamo: "La regione Piemonte considera le foreste come bene a carattere ambientale, culturale, economico e paesaggistico di irrinunciabile valore collettivo da utilizzare e preservare a vantaggio delle generazioni future ......sono riconosciute quale risorsa di materie prime ed energie" da sfruttare "nel rispetto delle autonomie locali, in applicazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione e leale collaborazione…"
(nel testo iniziale tra gli obiettivi c'era anche quello di "migliorare le condizioni economiche delle popolazioni residenti", era di troppo).

Foto Marco Billo  
Per l'acqua i Comuni sono stati obbligati a approvare delibere scritte in Regione, i dissidenti sono stati commissariati e quando alcune decine di comuni hanno chiesto di discutere una modifica alla legge per la prima volta lo statuto regionale è stato disatteso.
Ora tocca alle foreste acquisire un "irrinunciabile valore collettivo", il termine "valore" richiama una visione "risorsista" del bosco, è poi difficile parlare di "collettività" quando la popolazione alpina è esclusa completamente dal processo decisionale.
Non è pensabile appellarsi a "solidarietà", "bene delle generazioni future", "benessere degli individui", "protezione della vita umana" quando dietro queste parole si mascherano interessi ben diversi, si parla poi di "sussidierietà" e "sostenibilità", termini qui usati o in modo ingenuo o come specchietti per le allodole.
Da Torino si continua a guardare alla foresta con occhio predatorio o romantico, singolare che la legge non faccia menzione degli usi civici e del ruolo che i Comuni hanno sempre avuto, ora esautorati con buona pace della menzionata "sussidiarietà".


 Foto Daniele Garnerone  
Evidente la facilità con cui si reperiscono i fondi per sostenere gli interventi funzionali a queste "strategie predatorie" e l'assoluto silenzio sulle richieste avanzate dalle popolazioni residenti.
Singolare, come chicca, l'anacronistica proibizione del pascolo delle capre! Era il 1° giugno del 1914 quando il conte Luigi Soriani Monetti alla Camera puntò il dito contro il "fessipede dall'unghia luciferina", la capra fu bandita dal bosco e continua ad esserlo ora quando sarebbe un poderoso strumento di condizionamento della vegetazione invadente, se non ci fosse dovremmo inventarla invece di proibirne il pascolo, non voglio però entrare nell'articolato della legge, ma sottolinearne l'impianto ideologico.
In essa riemerge il conflitto tra due culture fortemente differenziate con particolare riguardo a differenti strategie ambientali, un conflitto occultato dalla storiografia cittadina.

Per la città risorsa sono l'acqua, le miniere, il legname, il panorama, risorsa è stato il montanaro durante l'industrializzazione del dopoguerra e tutte le norme per la tutela di queste "risorse" sono state emanate quando la "strategia risorsista" le ha messe in pericolo.
Prima non ce n'era mai stato bisogno, i popoli montani hanno sempre attuato profonde trasformazioni ambientali con una strategia che si imponeva spontaneamente limiti.
Ora si pensa di attuare l'ultimo esproprio alle valli, quello del bosco, ma quassù non è detto che tutti tacciano, qualcuno è ancora rimasto, anche se si fa di tutto per farci sentire di troppo.
A Palazzo Lascaris troviamo una rappresentanza del "Piemonte", manca però completamente la rappresentanza delle comunità che abitano il "Monte" e non è pensabile parlare di "valori collettivi" quando la collettività regionale è spaccata in due.

La soluzione è riassunta bene sempre dal prof. Zanzi:
"Se si vuole salvare l'ambiente montano occorre che le vicende rapinatorie…..vengano radicalmente interrotte e ciò è possibile soltanto ad iniziativa delle popolazioni montane....ci vogliono uomini di montagna per difendere la montagna : questa tesi è riconosciuta fondamentale da chiunque non si bei nell'attesa che pii desideri si realizzino da se."

Se è vero questo assunto, allora si capisce anche il perché del silenzio sulle richieste degli "uomini di montagna" che vogliono continuare a vivere di montagna creando impaccio ad altrui "magnifiche sorti e progressive".


Nei confronti delle valli la Regione è esemplare nell'
"approccio sabaudo" che dobbiamo però cercare di lasciarci alle spalle nell'interesse di tutti, altrimenti, non riuscendo a far accettare le sue proposte sulla base dell'autorevolezza, dovrà imporle un approccio autoritario, col rischio di innescare altri nuovi conflitti di cui non se ne sente il bisogno, basta quanto succede in val Susa, o no?

Mariano Allocco
Presidio Alpino di Prazzo - Valle Maira
(1)  UNCEM: unione nazionale comuni comunità enti montani, IPLA Istituto per le Piante da Legno e l'Ambiente
(2)  Luigi Zanzi, doc. di Metologia delle scienze storiche fac. Lettere e Filosofia dell'Università di Pavia - La cultura alpina e la cultura        metropolitana: vecchi e nuovi conflitti , Quaderni del Gargano, 2003.



Marzo 2010

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