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Na nuech a l'oste...
di Anna Lometto


Una vejà tra amici riesce a sintonizzare tutti i neuroni e
a farli vibrare di emozioni reali, in diretta,
senza filtri e soprattutto senza pubblicità.
Il nostro cervello ha ancora più canali di quanti un decoder potrebbe mai sognarsi in cent'anni di trasmissioni
(o intromissioni?) satellitari.
Le telecomunicazioni sono un'invenzione più che utile e la sofisticatezza raggiunta rende l'idea delle ingegnose possibilità del cervello umano. Peccato che per via del cattivo utilizzo di tali mezzi una marea di applicazioni di tale potenziale virtuosismo cerebrale vengano troncate sul nascere proprio per l'attuazione di una sorta di "prepensionamento" al quale vengono condannate le masse grigie stesse.
In parole povere: cosa potrà mai combinare l'uomo ora che è così soggiogato dalla sua televisione?
Viene in mente il dottor Frankenstein al quale scappa di mano la situazione, soccombendo tragicamente al mostro da lui creato.
L'uomo dell'era ante-televisiva, indomito ribelle, pronto alla rivoluzione, ostinatamente impegnato in lotte e sacrifici in nome di libertà ed eguaglianza, è riuscito a trasformarsi in larva-da-poltrona-pigiama-ciabatta, disposto a subire qualsiasi sopruso pur di non rinunciare ai suoi gloriosi momenti di pilota dal telecomando facile.
Come diventa mansueto l'animale in gabbia! E più semplice risulta il suo addestramento. Se si tratta di celle singole, il detenuto diventa ancor più disposto a collaborare col suo carceriere, innamorandosene: è la "sindrome di Stoccolma" (arriva persino a votarlo nel caso costui dovesse mai candidarsi alle elezioni).
Ecco a cosa servivano gli esperimenti comportamentali degli animali in gabbia: a testare i futuri telecomandi! Si ricordi infatti il cibo reso disponibile in gabbia grazie al pulsante sul quale l'animale imparava a poggiare la zampa. Oggi quando sentiamo un jingle pubblicitario scatta il "riflesso di Pavlov", la tipica acquolina da consumatore:
"Che si compra di bello?".
C'era una volta il fiero popolo occitano (e non solo questo) che rifiutò di lasciarsi imbrigliare dai fili dei burattinai che li volevano comandare. Sapevano che non sarebbe stato possibile continuare a servirsi del loro sofisticato strumento di sopravvivenza, il cervello, se questo fosse stato costretto da un'intricata matassa volta a reprimerlo ed infine soffocarlo.
Sono scappati alla ricerca di spazi aperti dove fosse possibile far danzare in libertà i neuroni fatti per la memoria, le emozioni, le innovazioni, la convivenza, la gioia di essere un popolo, "quel" popolo.
Il cervello liberamente pensante riesce a sormontare le difficoltà tecniche ambienteli come l'asprezza della vita di montagna.
Qui hanno potuto continuare a parlare la loro lingua, cantare le loro canzoni, aggiungendo pezzi nuovi, migliorandole, abbellendole, tenendole aggiornate con l'evolvere delle stagioni nei secoli.
Il 29 dicembre 2010, a Campomolino, gli Occitani hanno dato dimostrazione del fatto che tutto questo succede ancora.
Si sono ritrovati per una vejà in una stalla moderna, il Salone Comunale delle Feste; c'erano sedie e tavoli con bottiglie vuote di Arneis che reggevano candele nere all'oppio (!), panche rudimentali ottenute poggiando assi su cassette per la frutta, balle di fieno sparse qua e là per gli irriducibili della poltrona, luci rosse e gialle tipo casa da tè giapponese... A proposito: per rendere migliore l'acustica c'era anche l'impianto da karaoke! Una cassa era sistemata su una botticella, l'altra su una culla di legno, a sua volta sostenuta da una fioriera in ferro.
Il microfono vinceva il premio "Art Brut" perchè pare non fosse mai esistita la sua asta originale, dunque era retto da:   A) sostegno per tamburo rullante,   B) straccio (pulito) per pavimenti piegato in quattro,   C) rotolo di carta igienica quasi terminato,   D) abbondante nastro adesivo blu.
Questo congegno si è dimostrato adatto per raccogliere e diffondere nella sala musica, poesie, storie, canzoni, racconti e... avvisi di macchine da spostare.
Ma l'amplificazione migliore è stata quella del folto, meraviglioso pubblico che ha recepito l'atmosfera della serata con l'incanto adorante dei bambini che ascoltano le favole.
Olga Martino e Claudio Salvagno si sono succeduti nello spazio dei relatori diffondendo emozioni con le loro poesie in occitano, mentre Gabriella Fichera e Beppe Garnerone sono stati altrettanto apprezzati con le traduzioni delle poesie stesse e i suggestivi racconti come lo spassoso "Lou Prà empachà".
A metà serata Ezio Donadio, ideatore ed organizzatore della serata, ha effettuato un intervento particolare raccontando la storia della Grande Nevicata di Castelmagno del 2008, quando le frazioni erano isolate e gli abitanti tagliati fuori dalla cosiddetta civiltà che al posto di portar loro aiuto li ha abbandonati a se stessi con scuse pietose legate all'insormontabilità burocratica, ossia "aquelòs monthanòs" a cui oggi ci si può riferire intonando Se Chanto... Altro che i metri di neve!
E mentre il padrone di casa leggeva il mesto diario dei giorni funestati dalla mancanza di acqua, luce, strade, telefono ed ogni altro tipo di contatto, il tecnico Angelo proiettava sulla parete in fondo alla sala una serie di immagini risalenti all'emergenza.
La testimonianza diretta di chi aveva vissuto quel particolare momento ha lasciato a bocca aperta i presenti in sala che all'epoca forse avevano soltanto sentito accennare a vaghi "disagi" da parte di quelli d'amòn.
Qualcuno invece ha notato con fastidio che gli occitani non organizzano raduni solo per bere, ballare ed agitare bandierine. Un'Occitania alle prese con i disagi della montagna disturba l'immagine allegramente folk che molti pretendono sia l'unica possibile dei nostri tempi.
A metà cronaca infatti qualche turista abbandonava la sala sbuffando con discrezione. Avranno avuto altri impegni giù in città? A quell'ora di notte si può ipotizzare soltanto il parto di qualche personaggio della soap opera preferita, in replica. Forse per loro i tempi della montagna erano troppo lunghi (come i soccorsi per la nevicata da parte degli organi preposti agli stessi), in netto contrasto con quelli televisivi. Dicono che Einstein per spiegare in parole povere ad un amico la teoria della relatività facesse l'esempio di un minuto trascorso accanto a un'avvenente ragazza oppure seduti sulla stufa arroventata.
All'Oste del Chanabie non c'erano ammiccanti veline da Bunga Bunga, benchè non facesse difetto la presenza di pregevoli bellezze locali (vestite).
La stufa che arroventava le terga dei fuggitivi era dunque rappresentata dall'astinenza da telecomando? Immagino la loro indignazione: "San Telegiornale è in grado di trasmettere la notizia di un'ecatombe in Asia al massimo in cinque minuti, immagini ed interviste ai supersiti comprese. Poi devono andare in pubblicità.
Invece quest'uomo, che deve aver ben poco da fare nei mesi invernali quassù, ha perso ore ed ore a fotografare cumuli di neve tutti uguali... neppure una vittima... che noia! Ed ora propina la sua frustrazione di montanaro incattivito obbligandoci a sedere su una balla di fieno a sorbire le mille filmine come quelle del viaggio di nozze dei neo-sposi nella canzone dei Tre Lilu...
Ah ma se avessimo il nostro telecomando!!".
Fossero stati in possesso della loro bacchetta magica avrebbero cambiato canale per vedere se nella fiction i fidanzati Johnny e Tommy erano riusciti a trovare un prete disposto a sposarli, poi un po' di news postribolari di politica interna, seguite da quelle su Kashimirya Puddu, "nominata" col televoto nella Casa/Isola/Fattoria/Camera a Gas del reality di turno.
L'accoppiata vincente telecomando/telefonino ormai rappresenta il nuovo motto per l'essere umano: DIGITO, ERGO SUM!
E pensare che la serata di veglia poteva essere l'occasione per spostare dal cervello al televisore il cartello "Ei fu"... Ma per fortuna il numero di disertori è stato veramente irrisorio e in pratica tutti gli intervenuti sono rimasti fino alla fine della serata per godere della magica atmosfera del Chanabie.
Intercalando i personaggi recitanti con i suoi interventi musicali, Sergio Berardo, coadiuvato da Francesco Giusta, al solito riusciva a creare l'illusione di assistere ad uno spettacolo pirotecnico in cui le note degli strumenti piroettavano in un'esplosione di colori a braccetto con le parole delle canzoni.
Gli ascoltatori venivano stregati dal suono delle ghironde, dell'organetto e di tutte quelle cornamuse che sono state "raccontate" con dovizia di particolari ed aneddoti come storie dentro alla storia.
Nel corso della vejà la varietà di atmosfere evocate da ciascun narrante ha contribuito a rendere la serata godibile per tutti: v'era l'attenzione ai racconti, ma anche la rilassata informalità di quando ci si trova tra amici; il silenzio compunto dei momenti di commozione, ma anche attimi di l'ilarità da scolaretti, come quando la piccola Chiara in prima fila è stata colta da un attacco di singhiozzo proprio durante il pathos evocativo d'una poesia di Olga... E poi?
Panettone e Vin Brulè per tutti, quest'ultimo preparato dal cuoco dell'adiacente locanda "La Susta".
Ad un certo punto sono stati spostati i tavoli e tutti quelli che si erano portati uno strumento hanno cominciato a suonare corente e mazurke per la gioia di chi ha subito affollato la pista improvvisata per scatenarsi nelle danze, dando l'ultima pennellata di colore al gioioso quadro vivente della Notte all'Oste del Chanabie.



Anna Lometto


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