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Spalenza Veronica
Matricola 204585


RELAZIONE:

ALLA CORTE DI RE CASTELMAGNO


Università degli studi di Torino
Facoltà di Medicina Veterinaria

111° anno del Corso di Laurea di l° livello in Produzioni animali e gestione conservazione della fauna

CIP in Agriturismo e valorizzazione dell'ambiente Modulo: valorizzazione dei prodotti tipici
Prof.ssa Grassi

“…Attraverso le Alpi con le armate a portar sostegno al Papa, Carlo Magno un dì venne ospite del Vescovo di Saluzzo. Grandi onori e suon di corni e danze e fiorir gran banchetto di cacciagione ed altre leccornie.
L'Imperatore nulla disdegnò. Nemmeno quel grosso cacio color di sacco.
Affondò la lama squarciò la formar e gli occhi suoi brillarono al giallo oro delicato.
Fece allor per tagliar via la rugosa crosta scura e incidere la venatura bluastra.
Maestà! L'interruppe il Vescovo Voi rinunciate al meglio ...
Vinta al fin la diffidenza l'Imperatore sciolse in bocca quella delizia saporita, soave e forte ad un tempo.
Ne fu per sempre vinto.
Da quel giorno ogni giorno una carovana prendeva la via di Aquisgrana.
Il grande amore tra Carlo Magno e il Castelmagno o il racconto che vuole il formaggio sempre presente sul desco dei Papi ad Avignone, non sono che i più noti dei tanti aneddoti che la tradizione ci ha tramandato.
In realtà, poco sappiamo sulle vere origini del formaggio avvolte nella leggenda prima fra tutte quella legata al nome, che potrebbe derivargli dal santuario di San Magno, costruito in memoria di un soldato romano martirizzato sulle montagne circostanti.
In realtà le prime forme vennero prodotte nel XII secolo. Il primo documento ufficiale a registrarne
l'apprezzamento, è una sentenza arbitrale del 1277.
La sentenza riguarda l'usufrutto dei pascoli delle Grange Martini, nella comba di Narbona, ai confini tra Castelmagno e Celle Macra. Nella controversia, il Comune di Castelmagno ebbe la peggio, ed il prezzo della sconfitta impose il pagamento di alcune forme di formaggio come canone annuo da versare al Marchese di Saluzzo. Sempre nel 1200 il possesso di alcune forme di Castelmagno fu pretesto per una guerra tra Cuneo e Saluzzo, guerra che durò – si racconta - trent'anni, uno per ogni forma di formaggio contesa.
Alla corte del Sacro Romano Impero quel cacio raro e misterioso mai più doveva mancare ... "

Il grande amore tra Carlo Magno e il Castelmagno o il racconto che vuole il formaggio sempre presente sul desco dei Papi ad Avignone, non sono che i più noti dei tanti aneddoti che la tradizione ci ha tramandato. In realtà, poco sappiamo sulle vere origini del formaggio avvolte nella leggenda prima fra tutte quella legata al nome, che potrebbe derivargli dal santuario di San Magno, costruito in memoria di un soldato romano martirizzato sulle montagne circostanti.
In realtà le prime forme vennero prodotte nel XII secolo.
Il primo documento ufficiale a registrarne l'esistenza e l'apprezzamento, è una sentenza arbitrale del 1277.
La sentenza riguarda l'usufrutto dei pascoli delle Grange Martini, nella comba di Narbona, ai confini tra Castelmagno e Celle Macra. Nella controversia, il Comune di Castelmagno ebbe la peggio, ed il prezzo della sconfitta impose il pagamento di alcune forme di formaggio come canone annuo da versare al Marchese di Saluzzo. Sempre nel 1200 il possesso di alcune forme di Castelmagno fu pretesto per una guerra tra Cuneo e Saluzzo, guerra che durò – si racconta - trent'anni, uno per ogni forma di formaggio contesa.

Altri documenti successivi attestano il prestigio del formaggio.
Tra questi un decreto del re Vittorio Amedeo II che nel 1722 ordinava alla comunità di Castelmagno di assicurare al feudatario Ignazio De Morri " ... la regalia di rubbi nove di formaggio".
Il Castelmagno appartiene al gruppo dei formaggi "erborinati" come il Gorgonzola e il Roquefort, prodotti prevalentemente con latte vaccino, talvolta con latte misto e sono formaggi a pasta cruda e molle.
La denominazione "erborinatura" non ha nessuna etimologia tecnica, né tantomeno scientifica. Non è altro che la traduzione in italiano del vocabolo dialettale lombardo erborin, con il quale si indica il prezzemolo; la pasta di questi formaggi, infatti, per la presenza di speciali muffe, appartenenti al genere Penicillium, risulta screziata di verde e ricorda, pertanto,l'impasto di certe sostanze alimentari con il prezzemolo.

Il formaggio Castelmagno trova la sua zona classica di produzione nel Comune omonimo di Castelmagno che è situato nell' alta Valle del torrente Grana, in provincia di Cuneo. Il Comune appartiene alla catena delle Alpi Cozie, posto in una profonda conca discendente del Monte Tibert (m. 2647), nodo centrale del sistema montuoso compreso fra le Valli stura e Maira.
Nessuna località si intitola con il nome del Comune che dà,perciò, nome simbolico all'aggregato delle seguenti 13 frazioni che ne formano la compagine: Battuira, Campofei, Campomolino (Capoluogo), Cauri, Chiappi, Chiotti, Colletto, Croce, Einaudi, Narbona, Nerone, Riolavato e Valliera.
Queste frazioni, che si trovano ad altitudini fra i 1100 ed i 1700 m s.l.m., sono per lo più sparse nei valloni trasversali e comunicano, fra loro e con la valle principale, a mezzo di erte strade mulattiere.
La tipica produzione del formaggio Castelmagno si estende altresì negli interi territori dei Comuni di Pradleves e Monterosso Grana.

La zona di origine del formaggio Castelmagno, dal punto di vista agrario, è intensamente coltivata sino ad altitudini che toccano i 2000 metri; il terreno agrario relativo, che costituisce il suolo dei campi e dei prati, è il prodotto del disfacimento di rocce calcaree preterziarie ed è ricco di elementi di fertilità, per cui, se la stagione decorre particolarmente favorevole, si possono conseguire elevate produzioni di orzo (Hordeum vulgare), segale (Secale cereale), patate (Solanum tuberosum) e foraggere.
La vegetazione del comune di Castelmagno è particolarmente favorita dalla freschezza del suolo e dall'eccellente esposizione dei terreni, perché il versante in cui dominano i seminativi è
esposto a mezzogiorno, in contrapposizione a quello in cui
predominano i prati, che, di conseguenza, non mancano della
freschezza necessaria per ottenere buone produzioni.
Le erbe dei prati e dei pascoli raggiungono qui sviluppi sconosciuti alla maggior parte delle località di montagna, ed i fieni che si ottengono sono molto nutritivi e profumati; la flora di questa valle, infatti, è ricchissima di ottime essenze prative e di piante aromatiche, ragion per cui sono in grande fama i suoi latticini.

Alcuni anni fa la popolazione di bovini di razza piemontese che viveva permanentemente nella zona per l'intero arco dell’anno ammontava a circa 1000 unità; mentre il carico (giugno-settembre), determinato dalla monticazione
proprietà di margari, ammontava a circa 3000 capi.
Il latte prodotto in zona nell'intero arco dell'anno quasi interamente trasformato in formaggio Castelmagno e burro.
Una caratteristica del Castelmagno è il suo sapore piccante che si manifesta quando è maturo e denota come lo svolgimento della maturazione operata dalle muffe non si fermi soltanto alla degradazione solita delle sostanze proteiche, ma sia pure aiutato dalla liberazione di acidi della materia grassa, quali l'acido capronico, l'acido caprilico e l'acido caprinico.
Ed è appunto per moderare lo sviluppo delle muffe che nella tecnica di conservazione si incontra un' altra caratteristica comune a quasi tutti questi formaggi e cioè l'impiego di grotte naturali in pietra fresche ed umide nelle quali le forme vengono collocate in una importante fase del loro ciclo maturativo (stagionatura).
Dopo l'ultimo conflitto mondiale questo alimento conobbe una forte contrazione della produzione dovuta in parte all'abbandono dei valligiani scesi in massa verso la pianura e, in parte, ai gusti dei consumatori che andavano via via orientandosi verso una produzione sempre più industrializzata dei prodotti alimentari e quindi anche caseari.
Quasi dimenticato per decenni, negli anni ottanta, Camera di Commercio, Amministratori locali e produttori cominciarono a recepire l'esigenza di razionalizzare e standardizzare le tecniche di produzione che, seppur tramandate da secoli nelle loro linee generali, restavano completamente artigianali e registravano molte varianti legate ai luoghi, ai tempi e ai metodi di lavorazione adottati dai singoli produttori.
Una situazione che conferiva misure, peso, sapori ed anche caratteristiche organolettiche troppo diverse e incostanti alle singole forme di Castelmagno, con conseguenze negative nella di commercializzazione e diffidenza
dei consumatori.

Da questa consapevolezza e dalla necessità di promuovere e tutelare la produzione di un formaggio così unico e particolare che poteva diventare nuovo volano di sviluppo per l'economia di una valle ormai quasi completamente abbandonata, si arrivò alla richiesta della "Denominazione di origine controllata" per il Castelmagno. Questa era la via obbligata per impegnare i produttori al rispetto di alcune fondamentali regole comuni nella lavorazione e nella conservazione del formaggio e, nel contempo, per assicurare un marchio di garanzia e riconoscibilità al prodotto.
Il riconoscimento della DOC arrivò con un Decreto del Presidente della Repubblica datato 16 dicembre 1982.
Il 1 luglio 1996, sulla base della Normativa Europea Sl aggiunse la "Denominazione di origine protetta", DOP, a garanzia della unicità della zona di produzione che resta comunque limitata al tre comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana.

Per Denominazione di origine protetta (DOP) art. 2 Reg. CE 2081/92, si deve intendere il nome di una regione,
di un luogo determinato o in casi eccezionali di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, luogo determinato o paese, la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata.
Tale marchio estende la tutela del marchio nazionale DOC a tutto il territorio europeo.
Con gli anni Novanta, i produttori, pur riducendosi di numero, raffinarono e migliorarono le tecniche di lavorazione
di questo formaggio, adoperandosi inoltre per una più attenta tutela del marchio.
Il rispetto delle norme di produzione e la tutela dell' immagine del Castelmagno sono compi ti oggi affidati al "Consorzio per la tutela del formaggio di origine Castelmagno" che ha sede a Campomolino di Castelmagno in piazza Caduti 1.
La tecnologia di produzione ricalca quanto stabilito dal Disciplinare di produzione, indispensabile per ottenere il marchio di qualità e che viene qui di seguito riportato integralmente.





PROCEDIMENTO DELLA CASEIFICAZIONE

La preparazione consiste nell'addizione di caglio liquido al latte proveniente da due mungiture e portato, mediante
riscaldamento, ad una temperatura che si aggira tra i 37-38°C.
Si ottiene così la caìàr la cagliata, che viene successivamente rotta e sbattuta.
Poi, operando con la casula, uno strumento particolare, si raduna mediante un movimento lento e rotatorio da una parte la cagliata vera e propria e dall'altra la lachaa, il siero.
Dopo un riposo di un quarto d'ora la cagliata viene raccolta e posta in una tela asciutta e pulita, la rizolo, dopo di che la si preme moderatamente con le mani.
Si annodano quindi i quattro capi della tela in modo da formare un involucro che si appende per mezza giornata affinché ne fuoriesca la maggior parte possibile del siero ancora presente.
Si depone poi l'involucro in un sibre, un recipiente di legno (più raramente in un secchio di metallo) e lo si lascia riposare tre giorni al massimo d'estate, fino a cinque d'inverno.
Trascorso tale periodo, la cagliata deve essere accuratamente rimescolata, dopo di che viene nuovamente riunita e compressa per un quarto d'ora.
Subi to dopo, si fraziona la cagliata, si effettua una salatura secondo le tradizioni locali, infine la stessa è posta in al tre tele o in reticelle di cotone (la cui comparsa è però più recente) che, con il loro contenuto vengono introdotte in una fiselo, un'apposita fascela cilindrica, avendo cura che la pasta del formaggio sporga dall'orlo di tale forma per 3-4 cm...
La quantità di pasta distribuita in ogni forma varia da quattro a sette chilogrammi.
Nella fascela la cagliata viene tenuta per un periodo di tempo variabile da 1 a 3 giorni facendola sottostare ad una leggera pressione effettuata a mezzo di torchio o altri attrezzi più tradizionali quali i banchi da formaggio dei margari o da una làouzo, una lastra di pietra.
Il formaggio a questo punto viene tolto dalle fascele per essere sottoposto a salatura esterna, praticata a secco in locali freschi e ben aerati.
Per la salatura, si dispone il formaggio su assi o scaffali di legno e si sala prima una faccia e lo scalzo con di sale grosso; trascorse 24 ore si capovolge la forma e si procede alla salatura dell'altra faccia.
L' ultima operazione è la stagionatura in grotte o cantine, che determina il colore della pasta del formaggio, il suo sapore e la stessa confezione esterna.
Se è poco stagionato, infatti, esso risulta di colore bianco perlaceo o bianco avorio, con pasta friabile, sapore fine, delicato e moderatamente salato, e con crosta sottile di colore giallo rossastro, liscia, elastica e regolare.
Se invece la stagionatura è stata prolungata, la pasta compatta assume un colore giallo ocrato con venature blu verdastre, il formaggio ha crosta più scura della precedente, ispessita e rugosa, e un sapore caratteristico, forte e piccante.


CURIOSITA'

Lou Brous (il Brus) è il tipico prodotto di una economia povera. Veniva e viene confezionato con vari tipi di formaggio, tra cui il Castelmagno. Un tempo veniva preparato un po' in tutte le famiglie sia di montagna sia nei fondovallei era forse un metodo per utilizzare gli avanzi di formaggio e veniva usato per condire la polenta o le patate bollite o spalmato sul pane abbrustolito e magari spalmato di aglio.
Si tagliava il formaggio a piccoli pezzi, mescolando e ponendo il composto in apposi ti vasi.
A volte veniva aggiunto siero o latte fresco o ricotta (seirass) .
Quindi la massa veniva lasciata fermentare per 20 giorni.
Per regolare la fermentazione si aggiungeva grappa, rhum o genepy. Un' altra metodica per preparare il Brus è la seguente: il Brus viene prodotto a partire dal siero stagionato per più di una settimana che ha ristagnato sul fondo del recipiente di legno in cui si fa maturare il caglio, se ne aggiunge una metà di fresco e si porta il tutto a ebollizione.
Il prodotto caglia a sua volta, formando una toma, la brouso, che raccolta e scolata viene messa a stagionare per un mese circa ln un recipiente di terracotta, aula, con aggiunta di sale e pepe, in un locale fresco e umido e rimestata giornalmente.
Questo prodotto viene prodotto tutto l'anno in tutto il Cuneese.
La stagionatura avviene in cantina e durante questo periodo la pasta viene rivoltata ogni giorno.
Appare come una crema spalmabile, di colore biancastra, tendente al grigio.

I prodotti agroalimentari tradizionali sono un bene da salvaguardare.

Il Ministero delle Politiche Agricole ha elaborato nel 2000/2001 un elenco di prodotti tipici che devono essere salvaguardati da norme Comuni tarie che vanno contro processi produttivi radicati nel tempo.
Questo elenco è stato redatto perché si è sentita la necessità di Il salvare" alcuni alimenti prodotti con procedimenti tradi zionali difformi dalle norme igienico-sanitarie volute dalla Comunità Europea (Direttiva HACCP) e quindi tali prodotti possono essere ancora realizzati in maniera tradizionale.
Questo permette di derogare all'applicazione di quelle norme sanitarie concepite per le produzioni industriali, consentendo di conservare processi produttivi radicati nel tempo e di mantenere le tradizioni alimentari delle Regioni italiane senza perdere il carattere della genuinità e della sicurezza che caratterizzano la nostra cultura alimentare. Questo era il caso riferito alla produzione e stagionatura del formaggio Castelmagno, che prevede l'uso di latte crudo e stagionatura in grotte o cantine umide.

Per la fabbricazione di un prodotto tradizionale le condizioni
ambientali sono di fondamentale importanza. Il territorio
condiziona fortemente il prodotto e ne determina le
caratteristiche organolettiche. Un formaggio prodotto con latte di animali al pascolo rispetto a quelli tenuti in stalla ha un più alto contenuto di acido linoleico coniugato e un potere antiossidante più elevato. Altri fattori importanti che fanno la differenza sono ad esempio la razza animale, che ha un' incidenza sulla struttura e la consistenza della pasta, il caglio che condiziona la lipolisi mediante l' enzima lipasi e la proteolisi. Le caratteristiche del prodotto tendono ad attenuarsi per le vacche tenute in stalla.
Le cantine e le grotte sono i luoghi per una stagionatura tradizionale e dove con gli anni si crea una microflora specifica che interagisce perfettamente con le caratteristiche chimicofisiche di un particolare formaggio. Ogni ambiente è diverso dall'altro ed ha una specifica flora batterica e fungina.

La moderna tecnologia deve invece ricreare artificialmente i luoghi idonei alla maturazione, dove i fenomeni ambientali sono controllati dall'uomo e le operazioni manuali sono state sostituite dalle macchine.
In una pubblicazione redatta dal Prof. Carlo Remondino nel 1922 e ritrovata nell' archivio storico comunale di Castelmagno, il tecnico scrive: "se il formaggio viene fatto d'inverno e non si disponga di cantina adatta si metta il formaggio a stagionare nella stalle oppure si scaldi la cantina. A Valliera, Campofei e Narbona si fanno i formaggi migliori. La maturazione ha un tempo variabile da 3 a 6 mesi. Questo formaggio non è imitabile perché molti tentativi fatti in pianura hanno dato risultati negativi."

In conclusione, la valorizzazione delle produzioni locali deve dare motivazione alla cultura contadina e deve riuscire a far permanere sul territorio gli agricoltori delle aree marginali.

Il prodotto tradizionale realizza alcune finalità:

salvaguardia del territorio, servizi, agriturismo, occupazione, maggior reddito, incentivi da parte del Governo e delle Regioni per salvaguardare le zone depresse e a rischio ambientale.

Questo discorso è molto più sentito nella nostra Regione dove i versanti delle nostre montagne sono fra i più ripidi dell' arco alpino, più difficilmente raggiungibili e quindi più soggetti al fenomeno dell'abbandono da parte delle popolazioni.

Veronica Spalenza




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